Festival del Cinema

Il Ricordo è un viaggio nella “memoria”, tema al quale l’artista e curatrice Caroline Lepinay ama confrontarsi e rinnovarsi costantemente, con la sua sensibilità e la sua intensa passione, proponendo chiavi di lettura logiche e razionali, e scegliendo, come di consueto, il percorso dell’emozione, dei simboli e delle metafore, e della creazione pluriartistica.

In occasione della Mostra del Cinema di Venezia 2019, Caroline Lepinay si stabilisce sulla terrazza dell'hotel The Bauer Palace sul Canal Grande, di fronte alla chiesa della Salute. Invitata dal direttore Vincenzo Finizzola a creare un evento "omaggio" all'attore Al Pacino, l'artista e curatrice sceglie di mettere in scena, attraverso un cortometraggio intitolato Il Ricordo, una storia d'amore universale tra un figlio e sua madre, un tema caro all'attore.

Nel copione proposto, Al Pacino interpreta un uomo diventato cieco che non accetta l’idea di non essere più chi era. Mentre decide di porre fine alla sua vita, le immagini tornano alla sua memoria. Da ricordo in ricordo, finisce per aprire la porta della sua infanzia e ricorda che sua madre ha sacrificato la sua vita per lui. Questa verità lo riporta all’essenziale: la vita è un dono prezioso, e l’amore di una madre per il figlio è la forza e il coraggio per sfidare l’impossibile. Sceglie quindi di vivere.

Il cortometraggio viene proiettato ogni sera su un grande schermo a forma di volto, immaginato e creato dall'artista, la cui struttura è realizzata dall'architetto Antonio Sarto. Il volto è composto da 5 elementi: uno schermo gigante su cui sono fissate 4 opere scultoree originali (due occhi, un naso e una bocca).

La proiezione del cortometraggio su questo volto simboleggia per l'artista l'espressione di due mondi: quello del visibile (il mondo fisico) e quello dell'invisibile (il mondo del pensiero intimo, delle emozioni e dei ricordi, rappresentato dalle immagini in movimento).

Attraverso la sua creazione, l'artista evoca la complessità dei sentimenti, l’insolubile ambivalenza delle pulsioni di fronte agli eventi tragici. L'uomo è per natura combattuto tra due forze: ricordare o dimenticare. Dimenticare significa consacrare la cancellazione definitiva e irreversibile della traccia mnemonica. Ma è paradossalmente da questa volontà di dimenticare che emerge la verità, poiché la memoria è una forza vitale capace di estrarre un ricordo tra tanti altri dalla vigilanza della coscienza che lo nascondeva, per permettergli di riaffiorare opportunamente. Più forte dell’oblio, la memoria è trionfante.

Per l’artista, la memoria è l’unico gioiello che ci resta quando crediamo di aver perso tutto. Senza memoria, non ci sono ricordi, né futuro.

Nel cinema, il meccanismo della memoria viene sempre presentato allo stesso modo (che si tratti dell’espressionismo tedesco, di Hitchcock, passando per Fellini, Lelouch, Truffaut, Godard, Antonioni, fino ai fratelli Cohen e oltre): si tratta di un montaggio di flashback alternati a sequenze del presente e a proiezioni del futuro. Il metodo del flashback (meccanismo del salto indietro) permette di raccontare la storia e creare emozioni, senza dover spiegare. Sebbene le immagini parlino da sole, Caroline Lepinay sceglie di rappresentare il "tempo presente" con immagini in bianco e nero per mostrare un personaggio fisicamente e psicologicamente intrappolato in una quotidianità cupa e senza prospettive, dando invece ai ricordi colori e luce verso la via d'uscita. Questa scelta di regia si basa sull'idea che i ciechi vedano in sfumature di grigio (gamma di bianco e nero), che ricordino e sognino a colori, ma soprattutto che dalle tenebre (dalla oscurità, dal caos) emerga la luce e le sue sfumature di colori.

La sceneggiatura, la musica e la direzione artistica del cortometraggio, così come le opere plastiche, sono firmate da Caroline Lepinay.

Le immagini del cortometraggio sono tratte da varie sequenze provenienti da scene ontologiche della filmografia di Al Pacino, il che gli conferisce la sua originalità. Il montaggio è realizzato dall’artista Timur Barzarov. La colonna sonora è realizzata dal musicista e arrangiatore Matteo Boischio, in collaborazione con suo padre, Alberto Boischio, pianista del Teatro La Fenice.

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